Ci sono voluti ben 15 anni di discussioni per arrivare all’accordo finale che sancisce la nascita del primo trattato internazionale sulla protezione degli oceani

Le acque dei mari a cui fa riferimento il trattato rappresentano ben il 30% della totalità terrestre: questo dà speranza per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità fissati in agenda per il 2030. 

Scopriamo meglio, all’interno dell’articolo, qual è l’immenso valore di questo traguardo storico raggiunto solo pochi giorni fa. 

 

Che cosa rappresenta questo storico trattato?

Auditorium dove si è svolta l'assemblea ONU

Lo storico trattato è fondamentale per far rispettare l’impegno assunto dai paesi alla conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità per proteggere un terzo del mare (e della terraferma) entro il 2030. Senza un trattato, questo obiettivo sarebbe certamente fallito. 

La High Ambition Coalition – che comprende UE, USA, Regno Unito e Cina – è stato un attore chiave nell’intermediazione dell’accordo, costruendo coalizioni invece di seminare divisioni e mostrando disponibilità al compromesso negli ultimi giorni di colloqui. 

Coprendo quasi i due terzi dell’oceano che si trova al di fuori dei confini nazionali, il trattato fornirà un quadro giuridico per:

  • Creazione di vaste aree marine protette (AMP).
  • Protezione dalla perdita di fauna selvatica.
  • Condivisione delle risorse genetiche dell’alto mare. 
  • Istituzione di una conferenza delle parti (Cop) che si riunirà periodicamente e consentirà agli Stati membri di essere tenuti a rendere conto su questioni come la governance e la biodiversità.

I gruppi di difesa ambientale hanno annunciato il testo definitivo – che deve ancora essere ratificato dalle Nazioni Unite – come un nuovo capitolo per gli alti mari della Terra

Gli ecosistemi oceanici producono la metà dell’ossigeno che respiriamo, rappresentano il 95% della biosfera del pianeta e assorbono anidride carbonica, essendo il più grande serbatoio di carbonio del mondo. Tuttavia, fino ad ora, le norme frammentate e applicate in modo approssimativo che disciplinano l’alto mare hanno reso quest’area più suscettibile allo sfruttamento rispetto alle acque costiere.

Solo l’1,2% di questi mari è attualmente protetto dal punto di vista ambientale, esponendo la vasta gamma di specie marine che pullulano sotto la superficie – dal minuscolo plancton alle balene giganti – a minacce come l’inquinamento, la pesca eccessiva, la navigazione e l’estrazione mineraria in acque profonde.

 

Quanto tempo ci vorrà per mettere in pratica le premesse del trattato? 

 

Nonostante i membri delle Nazioni Unite abbiano accettato una versione finale del testo, si prevede che ci vorranno anni prima che il trattato venga formalmente adottato dagli Stati membri ed entri in vigore. Gli Stati Uniti, in particolare, sono spesso lenti a ratificare i trattati ambientali.

Una volta che il trattato entrerà in vigore, le nazioni potranno iniziare a proporre l’istituzione di nuove aree di protezione marina. 

Anche in quel caso l’applicazione rimarrà l’unica vera sfida: le acque internazionali oggi sono una specie di selvaggio West, con pochi o inesistenti controlli. La pesca illegale è dilagante e alcuni pescherecci usano persino il lavoro degli schiavi.

Tuttavia, il trattato è un inizio davvero necessario per la conservazione in alto mare mentre aumentano le pressioni sugli oceani del mondo.

 

Come funzionerà il trattato?

 

L’autorità legale di un Paese si estende generalmente a 200 miglia nautiche dalle sue coste. Dopo di che ci sono gli alti mari, dove nessuna nazione è al comando.

Il nuovo accordo non istituirà automaticamente alcuna nuova area di protezione marina in alto mare, ma crea un meccanismo che consente alle nazioni di iniziare a designarle in acque internazionali (per la prima volta nella storia). 

Tale capacità è fondamentale per far rispettare le promesse fatte al vertice delle Nazioni Unite sulla biodiversità dello scorso anno, in cui i delegati si sono impegnati a proteggere quasi un terzo della terra e degli oceani della Terra entro il 2030.

Il trattato d’alto mare facilita il raggiungimento di tale obiettivo, poiché consente di proteggere vaste aree di ecosistemi marini vulnerabili nelle acque internazionali. Offrirà anche protezione per milioni di organismi che abitano in alto mare.

Sebbene l’obiettivo principale del trattato sia salvaguardare la vita nei mari della Terra, aiuterà anche gli sforzi per combattere il cambiamento climatico.

Il testo adesso deve essere redatto ufficialmente, ma intanto l’Unione Europea ha investito 40 milioni di euro per far firmare l’accordo in tempi brevi a tutti i Paesi.

 

Tutela sulla paternità della conoscenza scientifica 

 

Uno dei principali ostacoli, che divideva le nazioni in via di sviluppo e sviluppate, era come condividere equamente le risorse genetiche marine (MGR) e gli eventuali profitti. 

I MGR, che consistono nel materiale genetico di spugne marine delle acque profonde, krill, coralli, alghe e batteri, stanno attirando una crescente attenzione scientifica e commerciale dovuto al loro potenziale utilizzo per produrre medicinali e cosmetici.

I Paesi in via di sviluppo in genere non hanno la tecnologia, l’accesso e le risorse per fare ricerca in alto mare ed è per questo che, dopo numerosi dibattiti, le nazioni più sviluppate hanno accettato di condividere alcuni dei profitti con le nazioni in via di sviluppo per renderli più equi e accessibili.

 

I tre grandi fenomeni in corso che stanno danneggiando il nostro pianeta

 

Pesca intensiva, cambiamento climatico e inquinamento sono i tre fattori predominanti che il trattato internazionale – firmato sabato 4 marzo 2023 – si impegna a contrastare. 

Approfondiamo meglio questi tre fenomeni dilanianti.

 

Pesca intensiva

Peschereccio in mare aperto

Di fronte al crollo delle popolazioni di pesci di grandi dimensioni, le flotte commerciali hanno iniziato a viaggiare più in profondità nell’oceano. Questa pesca intensiva ha innescato una reazione a catena che sta sconvolgendo l’antico e delicato equilibrio del sistema biologico del mare.

Ad esempio, i pesci erbivori mantengono gli ecosistemi marini in equilibrio mangiando alghe, mantenendo il corallo pulito e sano in modo che possa crescere. La pesca di troppi erbivori sta indebolendo le barriere coralline e le sta rendendo più suscettibili a essere devastate da eventi meteorologici estremi.

Inoltre, le tecniche di pesca intensiva adottate sono spesso aggressive e distruggono tutto ciò che incontrano sulla rotta mettendo a repentaglio il destino dei fondali marini, della barriera corallina e delle specie marine non idonee alla pesca.

Esempio lampante di quanto appena detto è dato dalla pesca a strascico, una tecnica di pesca in cui le barche tirano pesanti reti nell’acqua smuovendo completamente i fondali marini.  

Queste reti catturano praticamente qualsiasi cosa si trovi sul loro cammino: tartarughe marine, delfini, uccelli marini, squali e altri animali che quotidianamente affrontano minacce esistenziali diventando oggetto di catture accessorie.

Come se non bastasse, la pesca intensiva è aggravata dai commerci illegali. In effetti, alcuni dei peggiori impatti sugli oceani sono causati proprio dalla pesca illegale per la quale si stima fino al 30% delle catture delle specie marine di alto valore. 

 

Cambiamento climatico

Natura secca e a colori

L’oceano sta da tempo sopportando il peso maggiore degli impatti del riscaldamento globale causato dall’uomo. 

Essendo il più grande serbatoio di carbonio del pianeta, l’oceano assorbe il calore e l’energia in eccesso rilasciati dall’aumento delle emissioni di gas serra intrappolate nel sistema terrestre. 

Oggi, nostro malgrado, l’oceano ha già assorbito circa il 90% del calore generato dall’aumento delle emissioni. 

 

Poiché il calore e l’energia eccessivi riscaldano le acque marine, il cambiamento di temperatura porta a effetti a cascata senza precedenti, tra cui: 

  • Lo scioglimento dei ghiacci
  • L’innalzamento del livello del mare
  • Le ondate di calore marine 
  • L’acidificazione degli oceani

 

Questi cambiamenti alla fine causano un impatto duraturo sulla biodiversità marina, sulla vita e sui mezzi di sussistenza delle comunità costiere.

Le ondate di calore marine sono raddoppiate in frequenza e sono diventate più durature, più intense ed estese. La maggior parte delle ondate di caldo si è verificata tra il 2006 e il 2015, causando un diffuso sbiancamento dei coralli e il degrado della barriera corallina.

Nel 2021, quasi il 60% della superficie oceanica del mondo ha subito almeno un periodo di ondate di caldo marino.

L’aumento delle temperature aumenta il rischio di perdita irreversibile degli ecosistemi marini e costieri. In concomitanza, il livello del mare sta aumentando a causa dello scioglimento dei ghiacciai. 

Insieme all’intensificarsi dei cicloni tropicali, l’innalzamento del livello del mare sta dando vita a frequenti eventi estremi (mareggiate, inondazioni, erosioni, frane) che ora si stanno verificando almeno una volta all’anno in molte zone del mondo. 

Per notare il cambiamento basti pensare che, precedentemente, tali eventi si verificavano storicamente una volta ogni secolo. 

 

Inquinamento

L’inquinamento marino è una combinazione di sostanze chimiche e rifiuti, la maggior parte dei quali proviene da fonti terrestri e viene scaricata nell’oceano. 

Questo inquinamento provoca danni all’ambiente, alla salute di tutti gli organismi e alle strutture economiche mondiali.

L’aumento della concentrazione di sostanze chimiche come azoto e fosforo nell’oceano costiero favorisce la crescita di fioriture algali che possono essere tossiche per la fauna selvatica e dannose per l’uomo.

L’80% dei rifiuti attualmente presente nelle acque marine è di origine terrestre, questa spazzatura rappresenta un pericolo sia per gli esseri umani che per gli animali: i pesci si aggrovigliano e si feriscono tra i detriti e alcuni animali scambiano i sacchetti di plastica per cibo e li mangiano. I piccoli organismi si nutrono di minuscoli frammenti di plastica scomposta (le famose microplastiche) e assorbono le sostanze chimiche della plastica nei loro tessuti.

Quando piccoli organismi che consumano microplastiche vengono mangiati da animali più grandi, le sostanze chimiche tossiche diventano quindi parte dei loro tessuti. In questo modo, l’inquinamento da microplastica migra lungo la catena alimentare, diventando infine parte del cibo che gli esseri umani mangiano.

Negli ultimi anni abbiamo dato per scontato tutto ciò che per nostra mano sta distruggendo i mari, la biodiversità e il pianeta. Minimizziamo il valore delle acque marine e tendiamo a non renderci conto di quanto sia indispensabile preservare le acque dei mari per il mantenimento di una vita dignitosa sulla Terra. 

Eppure, la natura ci sta presentando un conto salatissimo che non possiamo più ignorare. 

Gli oceani sono fonte di cibo, producono ossigeno, regolano il clima e ospitano una ricca biodiversità. Proteggerli è fondamentale per garantire anche in futuro una vita dignitosa agli esseri umani e a tutti gli altri esseri viventi che popolano la Terra. 

Il trattato Onu per la salvaguardia del 30% degli oceani rappresenta a tutti gli effetti uno storico passo avanti per contrastare i tre grandi fenomeni in corso che stanno danneggiando irreversibilmente il nostro pianeta. 

Sperare non è più sufficiente, bisogna agire.

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